La immaginavo viola e ferma, come nei libri di Marguerite Duras. Mi aspettavo che l'Indochine fosse racchiusa tutta sulle sponde del lago di Hanoi o nelle imposte socchiuse dei suoi palazzi strettissimi e invece e' come se mi avessero spinta nel traffico di un'autostrada. E nell'autostrada viaggiano solo motorini, a migliaia, come mosche impazzite. Hanoi puzza di gas di scarico e camminarci e' cosa per pochi dato che non sembrano esserci regole nel traffico. E invece una c'e' ed e' fondamentale: andare sempre alla stessa velocita' senza mai rallentare, qualsiasi sia il mezzo di locomozione.
Fa caldo, un caldo umido che appiccica i vestiti e rende le gambe e le braccia pesanti e gonfie. Io penso continuamente agli americani, a quelli che in questo caldo ci sono morti ragazzini, senza sapere perche' e senza chiederlo e quando poi parlo a un vietnamita, a questi uomini piccolissimi e indaffarati, a tratti mi sembra di vedere in loro una fierezza nascosta e paurosa.
Si gira in taxi, in moto o in cyclo. Sul cyclo non volevo salirci, forse piu' per paura di provarci gusto a farmi scarrozzare come una colonialista francese degli anni Quaranta che per rispetto del nostro autista. Alla fine ci ha chiesto tre volte piu' della tariffa normale: lui era contento e la mia coscienza tranquilla.