Il ventilatore vortica a velocità massima; non per questo il sudore si ferma. Sedute su 5 sedie ancora incelofanate nel salotto bianco e vuoto, il team è in diverse faccende affaccendato. Rahel* annaspa fra l’ondata di richieste di amicizia su facebook: circa 50 negli ultimi giorni. Beate* ricerca attentamente il metodo per arginare la piena di sms che minaccia la salute del suo cellulare. Dal suo sguardo traspare rassegnazione: lo sa benissimo, è una battaglia persa. Měi Huā* non riesce ancora a credere di essere stata paparazzata tanto intensamente: circa 400 scatti in 7 giorni. Osservando distrattamente il nido di gazza (ormai in disuso) sul lampadario, Nǔ Lì* mantiene un religioso silenzio: ha perso la voce. Non credo abbia mai dovuto parlare a un numero tale di persone in tutta la sua vita. Eliška* sfoglia il plico di commenti sulla lezione di ieri: infinite variazioni sul tema “come back, it was important for us”. E poi ci sono io, seduta in terra, per ora cerco solamente di sopravvivere al caldo. E spero ardentemente di non diventerare mai famosa.
Fatta eccezione per questi piccoli effetti collaterali, abbiamo tutte scoperto la principale ricompensa di un Global Development Project: la sensazione di fare la differenza. In presenza di liceali tanto entusiasti riguardo al proprio futuro, siamo estasiate. La gratitudine e l’interesse in quegli occhi curiosi e bruni è la ricompensa più appagante che si possa desiderare, fa bene all’anima. Allo stesso tempo ci sentiamo ispirate, appassionate a un obiettivo comune, e riscopriamo il valore dell’impegno e della dedizione. Certo, non siamo qui a smuovere montagne. Ma è difficile spiegare quanto possa essere gratificante anche solo spostare un granello di sabbia alla volta, con pazienza e costanza. Se siete alla ricerca di un valido motivo per partire, è questo. Se sarete “earnest”, diligenti e industriosi, un mare di persone sarà lì a cercare di dimostrarvi quanto siete importanti per loro.
“Sara!”…”Sara!”. Il momento di celebrità arriva anche per me. Il padrone di casa ha qualcosa di molto importante da dire sembra. E il nome che invoca è sempre quello, non ci piove. “Yes Ishan!”. “Can you come down please?”. Certo che posso scendere, figurati. Anche se mi piacerebbe la rampa di scale ogni tanto toccasse a qualcun altra di noi sei farla. “I’m going to the market, do you girls need anything?”. Non mi è chiaro perché non lo abbia chiesto dal balcone. Ma certo la mia autostima cresce, e le gambe si mantengono in allenamento.
*Nomi inventati per persone reali